Il nostro mondo lavorativo, quello dei call
center, sta vivendo malissimo il colpo di coda della crisi e mentre in altri
settori si intravedono segnali di una possibile ripresa, nel nostro caso la
situazione va peggiorando di mese in mese. Così, anziché dare una mano al
nostro settore, lo si sta indebolendo ulteriormente ed a pagarne le conseguenze
saranno gli oltre 80.000 lavoratori che ne fanno parte.
Un lavoro, quello dei call center, per molti nato per caso e trasformatosi, causa forza maggiore, in quello della vita. Quella stessa vita che oggi vede appese ad un filo le proprie speranze di proseguire in un settore che, negli ultimi 3-4 anni, ha visto fallimenti, licenziamenti e ricorsi agli armonizzatori sociali (precursori del licenziamento).
Uno dei motivi di tale crisi è certamente la delocalizzazione all’estero, in quei paesi dove con uno stipendio di un italiano ci paghi 3, se non 4 lavoratori stranieri. Uno di questi paesi è l’Albania, un paese che vive ormai di un bilinguismo italo-albanese, frutto di anni di televisione italiana, che i nostri dirimpettai seguono e dalla quale hanno imparato la nostra lingua (mentre noi italiani non riusciamo dopo decenni a spiccicare due parole in inglese, ma questo è tutt’altro problema).
Ed allora come “attaccare” questa fuga scellerata all’estero dei call center e tutelare il lavoro in Italia?
La tutela della privacy del cliente! Ed allora dopo anni di battaglia, in cui si chiede che per ricevere supporto alla vendita ed assistenza si necessita di una previa autorizzazione del cliente, cosa accade? Il Garante per la protezione dei dati italiani cosa fa? Udite! Udite! Sigla un accordo di cooperazione tra Italia e Albania che prevede un'attività ispettiva coordinata sui call center italiani stabiliti in Albania. In sostanza autorizziamo l’utilizzo dei dati all’estero e gli diciamo anche come farlo! Ed allora perché un imprenditore non dovrebbe portare il proprio call center all’estero e trarne maggiori profitti?
A risolvere il problema però ci ha pensato il Job Act, ovvero, la riforma del lavoro.
Il Job Act nel nostro settore ha dato una “mano” sia all’inbound che all’outbound. Si è infatti deciso che debba essere valido per l’uno ed escluderne l’altro.
L’inbound oggi soffre, oltre che delle delocalizzazioni all’estero, anche delle gare al massimo ribasso, anche con prezzi che spesso sono al di sotto del costo del lavoro. Ed allora le aziende si ingegnano sempre più, con l’aiuto delle leggi dello Stato, per risparmiare e ridurre all’osso il costo del lavoro che nel nostro settore, in particolare per l’inbound, sfiora picchi dell’80-85%. Ed allora, contratti a tempo determinato con inquadramenti al secondo livello (informatore telefonico, quando in realtà si hanno conoscenze elevatissime e si fornisce un’assistenza altamente qualificata), contratti di somministrazione sempre a tempo determinato (sono la migliore arma di minaccia con il mancato rinnovo), staff-leasing che non gravano direttamente sull’azienda in caso di crisi, contratti di apprendistato con inquadramento al livello inferiore rispetto a quello di accesso nel settore in somministrazione! Insomma, meno costi meglio è. E poi c’è la scelta del part-time al 50 o al 75%. Sì, la scelta… dell’azienda però e non dei lavoratori. Perché!?! Per gestire al meglio i volumi di traffico. Proprio i contratti part-time sono la quasi totalità nei call center, contratti che non ti permetto un secondo lavoro, anche se al 50%, visti i turni assurdi ai quali si è soggetti e contratti al 75% per i quali in realtà si è disoccupati al 25% (sfido chiunque a trovare un lavoro part-time al 25%). Ed ora il Job Act ci aiuta con la decontribuzione fino a 8.000€ per lavoratore per i primi 3 anni, se assunto a tempo indeterminato, con il nuovo contratto a tutele crescenti. Questo significa che nasceranno nuovi call center, che avranno nuovi dipendenti con un costo del lavoro inferiore del 33% e che quindi potranno giocare ulteriormente al ribasso sul prezzo della commessa, a discapito di chi il dipendente lo ha già da anni e che quindi si vedrà soffiare la commessa. Quindi mentre da un lato lo Stato (siamo sempre noi cittadini) pagherà la decontribuzione alla nuova azienda, sempre lo Stato pagherà gli ammortizzatori sociali a chi il lavoro lo ha perso. E cosa accadrà tra tre anni alla nuova azienda che ha usufruito degli sgravi fiscali? Licenzierà per motivi economici! Semplice, il costo del lavoro sarà troppo elevato e non potrà più mantenere i costi competitivi attuali e quindi… lo Stato pagherà altri ammortizzatori sociali.
I lavoratori dell’outbound invece non corrono questi rischi, per loro che il Job Act non è applicabile. Per tutti i 30.000 lavoratori che vedevano finalmente una possibile stabilizzazione con l’abolizione dei co.co.pro. invece trovano tale dicitura “Contratti di collaborazione a progetto (Co. Co. Pro.). A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.”
Un lavoro, quello dei call center, per molti nato per caso e trasformatosi, causa forza maggiore, in quello della vita. Quella stessa vita che oggi vede appese ad un filo le proprie speranze di proseguire in un settore che, negli ultimi 3-4 anni, ha visto fallimenti, licenziamenti e ricorsi agli armonizzatori sociali (precursori del licenziamento).
Uno dei motivi di tale crisi è certamente la delocalizzazione all’estero, in quei paesi dove con uno stipendio di un italiano ci paghi 3, se non 4 lavoratori stranieri. Uno di questi paesi è l’Albania, un paese che vive ormai di un bilinguismo italo-albanese, frutto di anni di televisione italiana, che i nostri dirimpettai seguono e dalla quale hanno imparato la nostra lingua (mentre noi italiani non riusciamo dopo decenni a spiccicare due parole in inglese, ma questo è tutt’altro problema).
Ed allora come “attaccare” questa fuga scellerata all’estero dei call center e tutelare il lavoro in Italia?
La tutela della privacy del cliente! Ed allora dopo anni di battaglia, in cui si chiede che per ricevere supporto alla vendita ed assistenza si necessita di una previa autorizzazione del cliente, cosa accade? Il Garante per la protezione dei dati italiani cosa fa? Udite! Udite! Sigla un accordo di cooperazione tra Italia e Albania che prevede un'attività ispettiva coordinata sui call center italiani stabiliti in Albania. In sostanza autorizziamo l’utilizzo dei dati all’estero e gli diciamo anche come farlo! Ed allora perché un imprenditore non dovrebbe portare il proprio call center all’estero e trarne maggiori profitti?
A risolvere il problema però ci ha pensato il Job Act, ovvero, la riforma del lavoro.
Il Job Act nel nostro settore ha dato una “mano” sia all’inbound che all’outbound. Si è infatti deciso che debba essere valido per l’uno ed escluderne l’altro.
L’inbound oggi soffre, oltre che delle delocalizzazioni all’estero, anche delle gare al massimo ribasso, anche con prezzi che spesso sono al di sotto del costo del lavoro. Ed allora le aziende si ingegnano sempre più, con l’aiuto delle leggi dello Stato, per risparmiare e ridurre all’osso il costo del lavoro che nel nostro settore, in particolare per l’inbound, sfiora picchi dell’80-85%. Ed allora, contratti a tempo determinato con inquadramenti al secondo livello (informatore telefonico, quando in realtà si hanno conoscenze elevatissime e si fornisce un’assistenza altamente qualificata), contratti di somministrazione sempre a tempo determinato (sono la migliore arma di minaccia con il mancato rinnovo), staff-leasing che non gravano direttamente sull’azienda in caso di crisi, contratti di apprendistato con inquadramento al livello inferiore rispetto a quello di accesso nel settore in somministrazione! Insomma, meno costi meglio è. E poi c’è la scelta del part-time al 50 o al 75%. Sì, la scelta… dell’azienda però e non dei lavoratori. Perché!?! Per gestire al meglio i volumi di traffico. Proprio i contratti part-time sono la quasi totalità nei call center, contratti che non ti permetto un secondo lavoro, anche se al 50%, visti i turni assurdi ai quali si è soggetti e contratti al 75% per i quali in realtà si è disoccupati al 25% (sfido chiunque a trovare un lavoro part-time al 25%). Ed ora il Job Act ci aiuta con la decontribuzione fino a 8.000€ per lavoratore per i primi 3 anni, se assunto a tempo indeterminato, con il nuovo contratto a tutele crescenti. Questo significa che nasceranno nuovi call center, che avranno nuovi dipendenti con un costo del lavoro inferiore del 33% e che quindi potranno giocare ulteriormente al ribasso sul prezzo della commessa, a discapito di chi il dipendente lo ha già da anni e che quindi si vedrà soffiare la commessa. Quindi mentre da un lato lo Stato (siamo sempre noi cittadini) pagherà la decontribuzione alla nuova azienda, sempre lo Stato pagherà gli ammortizzatori sociali a chi il lavoro lo ha perso. E cosa accadrà tra tre anni alla nuova azienda che ha usufruito degli sgravi fiscali? Licenzierà per motivi economici! Semplice, il costo del lavoro sarà troppo elevato e non potrà più mantenere i costi competitivi attuali e quindi… lo Stato pagherà altri ammortizzatori sociali.
I lavoratori dell’outbound invece non corrono questi rischi, per loro che il Job Act non è applicabile. Per tutti i 30.000 lavoratori che vedevano finalmente una possibile stabilizzazione con l’abolizione dei co.co.pro. invece trovano tale dicitura “Contratti di collaborazione a progetto (Co. Co. Pro.). A partire dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere attivati nuovi contratti di collaborazione a progetto (quelli già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza). Comunque, a partire dal 1° gennaio 2016 ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro subordinato. Restano salve le collaborazioni regolamentate da accordi collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono discipline specifiche relative al trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore e poche altri tipi di collaborazioni.”
Il sogno è svanito, forse proprio perché era il
sogno di 30.000 lavoratori. Perché non è vero che tali lavoratori hanno
rapporti di subordinazione, perché non è vero che tali lavoratori lavorano su
turni, perché non è vero che la stragrande maggioranza lavora senza un progetto
reale ma aleatorio, perchè non è vero che i co.co.pro. dei call center possono
diventare dei contratti a tempo indeterminato. Si perché è una tutela guadagnare
5,70€ lorde l’ora (questo dal 1° gennaio 2015, prima erano 4,82€ lorde l’ora), perché
è una tutela avere contratti a scadenza trimestrale, bimestrale e mensile, perché
è una tutela essere sotto il ricatto del coordinatore (non possiamo chiamarlo
TL sarebbe subordinazione) che minaccia il mancato rinnovo, perché è una tutela
avere delle soglie quasi impossibili da raggiungere per guadagnare con l’obbiettivo
e non con le ore, perché è una tutela non avere le ferie pagate, la malattia,
la maternità, etc. Sì per lo Stato italiano è una tutela… degli interessi degli
imprenditori, che nel caso in cui il Job Act fosse stato valido anche per l’outbound,
avrebbero delocalizzato all’estero. Minaccia? No avviso!
Ora che con la riforma del lavoro si sarebbe potuto decidere di provare a curare un malato quasi morente chiamato Call Center, si è deciso di dargli lo sciroppo per la tosse. Forse si è ben pensato di non farlo soffrire troppo a lungo.
Ora che con la riforma del lavoro si sarebbe potuto decidere di provare a curare un malato quasi morente chiamato Call Center, si è deciso di dargli lo sciroppo per la tosse. Forse si è ben pensato di non farlo soffrire troppo a lungo.
Antonio Carbone
Lavoratore call center
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