Il confronto tra il Governo e le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro è entrato in una difficile fase di “STOP AND GO”, caratterizzata da una strategia altalenante da parte del Governo fatta di chiusure pregiudiziali e possibili aperture, che purtroppo non spingono in avanti la trattativa perché l’impegno assunto in UE è di modificare significativamente l’impianto delle tutele sociali che ha il nostro Paese.
Tutti gli Istituti Internazionali e le maggiori Autorità Economiche e Finanziarie mondiali e il Libro Bianco sulle pensioni riconoscono che la riforma pensionistica fatta dal nostro Paese è la più severa in Europa e quella che produce i maggiori risparmi sul PIL. Il Governo ha fatto la riforma senza alcun accordo con il Sindacato generando una casistica di problematiche senza precedenti, con il rischio di lasciare centinaia di migliaia di lavoratori senza diritto a pensione.
Lo strappo fatto dal Governo sulla riforma delle pensioni non può essere assolutamente replicato sulla riforma del mercato del lavoro.
Le due tematiche e le relative ricadute sui lavoratori sono socialmente diverse. Una cosa è l’allungamento dell’età pensionabile con tutti i condivisibili disagi per i lavoratori interessati e, un’altra è perdere il lavoro senza poter contare sugli ammortizzatori sociali. Ha ragione il Segretario Generale della CISL Raffaele Bonanni, quando dice che con la crisi in atto e il superamento della mobilità insieme all’innalzamento dell’età pensionabile, aprirebbe una “ecatombe sociale” che il Paese non può permettersi.
L’atteggiamento del Governo è al momento molto ambiguo su tutta la linea delle riforme sociali, dello sviluppo e della crescita e particolarmente arrogante sul metodo del negoziato e della dialettica e della comunicazione.
Il Governo punta a ridurre le tutele con il superamento della mobilità con l’indennità di disoccupazione di durata e importi ridotti, il restringimento della CIGS, la riduzione dei tempi per l’avvio delle riforme e di converso non amplia la fascia di copertura per tutti i lavoratori, non risolve la flessibilità in ingresso e la precarietà, non agevola i centri per l’impiego e soprattutto non vuole aggiungere risorse per rafforzare le tutele sociali.
Sul piano della crescita e dello sviluppo, che è il vero dramma del Paese, non abbiamo ancora ascoltato quali misure si vogliono adottare per favorire la produttività, la crescita dei salari, l’occupazione giovanile, l’occupazione femminile e adeguate politiche per il SUD.
Abbiamo la sensazione che il tavolo ministeriale sia una “finzione scenica” dove si alternano generosità e avarizia, solo con lo scopo di legittimarsi verso l’opinione pubblica, scaricando sul Sindacato il fallimento della trattativa.
E’ chiaro che il Governo non crede al tavolo di confronto perché le decisioni da adottare sono già state scritte altrove e sono inconciliabili con quelle del Sindacato, che sta assumendo un comportamento fin troppo responsabile facendosi carico delle difficoltà del Paese.
L’obiettivo del Governo è solo quello di “risparmiare” su quanto oggi si spende in ammortizzatori sociali e cancellare l’art.18, che in un contesto di crisi in cui vive il nostro Paese sarebbe un pericoloso elemento di conflitto sociale.
E’ ovvio che su queste posizioni del Governo non ci può essere nessun accordo, perché significherebbe scaricare sui lavoratori gli errori e le responsabilità della politica italiana e della finanza internazionale.
Tutti gli Istituti Internazionali e le maggiori Autorità Economiche e Finanziarie mondiali e il Libro Bianco sulle pensioni riconoscono che la riforma pensionistica fatta dal nostro Paese è la più severa in Europa e quella che produce i maggiori risparmi sul PIL. Il Governo ha fatto la riforma senza alcun accordo con il Sindacato generando una casistica di problematiche senza precedenti, con il rischio di lasciare centinaia di migliaia di lavoratori senza diritto a pensione.
Lo strappo fatto dal Governo sulla riforma delle pensioni non può essere assolutamente replicato sulla riforma del mercato del lavoro.
Le due tematiche e le relative ricadute sui lavoratori sono socialmente diverse. Una cosa è l’allungamento dell’età pensionabile con tutti i condivisibili disagi per i lavoratori interessati e, un’altra è perdere il lavoro senza poter contare sugli ammortizzatori sociali. Ha ragione il Segretario Generale della CISL Raffaele Bonanni, quando dice che con la crisi in atto e il superamento della mobilità insieme all’innalzamento dell’età pensionabile, aprirebbe una “ecatombe sociale” che il Paese non può permettersi.
L’atteggiamento del Governo è al momento molto ambiguo su tutta la linea delle riforme sociali, dello sviluppo e della crescita e particolarmente arrogante sul metodo del negoziato e della dialettica e della comunicazione.
Il Governo punta a ridurre le tutele con il superamento della mobilità con l’indennità di disoccupazione di durata e importi ridotti, il restringimento della CIGS, la riduzione dei tempi per l’avvio delle riforme e di converso non amplia la fascia di copertura per tutti i lavoratori, non risolve la flessibilità in ingresso e la precarietà, non agevola i centri per l’impiego e soprattutto non vuole aggiungere risorse per rafforzare le tutele sociali.
Sul piano della crescita e dello sviluppo, che è il vero dramma del Paese, non abbiamo ancora ascoltato quali misure si vogliono adottare per favorire la produttività, la crescita dei salari, l’occupazione giovanile, l’occupazione femminile e adeguate politiche per il SUD.
Abbiamo la sensazione che il tavolo ministeriale sia una “finzione scenica” dove si alternano generosità e avarizia, solo con lo scopo di legittimarsi verso l’opinione pubblica, scaricando sul Sindacato il fallimento della trattativa.
E’ chiaro che il Governo non crede al tavolo di confronto perché le decisioni da adottare sono già state scritte altrove e sono inconciliabili con quelle del Sindacato, che sta assumendo un comportamento fin troppo responsabile facendosi carico delle difficoltà del Paese.
L’obiettivo del Governo è solo quello di “risparmiare” su quanto oggi si spende in ammortizzatori sociali e cancellare l’art.18, che in un contesto di crisi in cui vive il nostro Paese sarebbe un pericoloso elemento di conflitto sociale.
E’ ovvio che su queste posizioni del Governo non ci può essere nessun accordo, perché significherebbe scaricare sui lavoratori gli errori e le responsabilità della politica italiana e della finanza internazionale.
NOI NON SIAMO D’ACCORDO!!
Roma, 14 Marzo 2012
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